di Katia Caravello
Lo scorso 27 ottobre la politica ha scritto una pagina vergognosa della storia del nostro Paese: l’affossamento del DDL Zan contro l’omotransfobia. Tre i punti maggiormente controversi: il concetto di identità di genere (art. 1), la presunta violazione della libertà di opinione (art. 4) e l’istituzione della Giornata nazionale contro l’omofobia, la lesbofobia, la bifobia e la transfobia, in particolare il fatto che sia celebrata anche all’interno delle scuole (art. 7).
Ciò che però più di tutto ha suscitato la vergogna e l’indignazione di tante persone – me compresa – è la reazione che una parte del Senato ha avuto al momento della lettura dei risultati della votazione a scrutinio segreto: ci sono stati applausi e festeggiamenti paragonabili a quelli, più che legittimi, seguiti alla vittoria dell’Italia agli Europei di calcio o agli altri numerosissimi successi italiani ottenuti alle Olimpiadi e non solo!
Ma il Senato della Repubblica italiana non è uno stadio ed i Senatori non siedono su quegli scranni per giocare una partita o per tifare una squadra piuttosto che un’altra! I Senatori – così come i Deputati – occupano quel posto per rappresentare con dignità e rispetto i cittadini italiani, tutti i cittadini… non solo i propri elettori!
Su questo punto si è espressa molto chiaramente la cantautrice ed attivista Paola Turci in un video registrato e trasmesso da Otto e mezzo (il talk show di approfondimento politico condotto da Lilly Gruber su La7), che potete vedere cliccando qui.
Sono molto eloquenti anche le parole scritte in merito da Antonella Palmitesta, psicoterapeuta di Roma:
“Mi offende la posizione politica e retrograda ma la cosa che mi ferisce sono quegli applausi.
Applaudono tutti quei pazienti e quelle pazienti bullizzati e aggrediti.
Applaudono i miei diversi amici aggrediti perché omosessuali.
Applaudono, ridono e noi guardiamo e piangiamo.
Perché per l’ennesima volta lo stato sancisce figli di serie A e figli di serie B.
Però le tasse le paghiamo in modo uguale.
Io a pazienti etero e omofobi che piangono dopo un lutto e per depressioni li sostengo e supporto in psicoterapia per star bene.
Amici medici gay comunque in sala operatoria salvano la vita a persone omofobe.
Noi abbiamo sempre risposto con l’amore.
Ma ora basta, questi pianti si trasformeranno in azioni per prenderci i nostri diritti.
Intanto abbiamo vinto socialmente per come tutti siamo uniti e unite nelle piazze per dire che le persone LGBT+ esistono e per fortuna esistono persone intelligenti al di là dell’orientamento sessuale e dell’identità di genere.
Il DDL ZAN è morto (per ora) ma i neuroni e le emozioni di alcuni Senatori non sono mai esistiti.”
Raramente viene ricordato, ma il DDL Zan ha – o forse sarebbe meglio dire aveva – il fine di tutelare, non solo le persone LGBTQ+, ma anche le persone con disabilità, che troppo spesso sono vittime di aggressioni fisiche e verbali, atti di bullismo e discriminazioni dovute all’essere disabili.
Ancor meno spesso si considera l’eventualità che una persona sia contemporaneamente LGBT e disabile… anzi, a dire il vero, si fatica ancora a concepire il fatto che una persona con disabilità abbia una vita sessuale… ma questa è un’altra storia!
Jonathan Mastellari (presidente di IAM Intersectionalities And More) così si è espresso su questo punto:
“La bocciatura del DDL Zan a mio avviso dimostra quanto in Italia sia ancora imperante l’approccio culturale del “se non è qualcosa che mi tocca dal vivo, non è un problema mio”.
Una proposta come quella bocciata pochi giorni fa al Senato aveva uno scopo ben preciso, quello di dare maggiori tutele a due minoranze, che seppur minoranze appunto, non sono ormai più mute come lo sono state fino a qualche anno fa.
Quello che fa paura, a mio avviso, e che percepisco alla base del voto contrario in Parlamento è la paura di alcuni gruppi politici di donare ulteriore spazio a comunità che per anni in Italia sono state percepite come un problema e come qualcosa da nascondere. Sia le identità LGBTIQA+ sia le identità disabili nel nostro paese sono state nascoste all’interno di famiglie e storie familiari per troppo tempo. Vissute come problemi, distorsioni da quello che sembra che tutti e tutte volessero, la così detta “normalità”. “Normalità” che però non esiste perché, senza retorica, tutti e tutte siamo normali nella nostra diversità rispetto a qualsiasi altro essere umano nel mondo. Ognuno è portatore di differenza, di intersezionalità e quindi di quella che sbagliando chiamiamo “normalità”.
E’ questo attacco al “normale” che fa paura. Quello che ancora oggi, fortunatamente in maniera sempre minore rispetto al passato, viene percepito come una rivendicazione di visibilità e di diritti, crea disagio a chi non percepisce le minoranze come qualcosa appartenente alle proprie vite. Dimenticando così colleghi e colleghe, parenti, amici e amiche e vicini e vicine di casa.
Rimane una cosa sola da fare. Continuare una piccola lotta nella quotidianità che renda ciò che non è visibile finalmente ancora di più alla luce del sole, dove ogni persona possa rivendicare con orgoglio le proprie identità e le proprie condizioni. Questo è possibile attraverso un lavoro culturale che coinvolge tutti e tutte, dal contesto lavorativo al contesto scolastico, dove non deve essere più una vergogna parlare sia di affettività che di sessualità per chiunque, comprese le persone con disabilità.”
Io sono una donna eterosessuale e, pur avendo una disabilità, per fortuna non sono mai stata vittima di aggressioni verbali o, men che meno, fisiche o di atti di bullismo; quindi, non dirò di capire quel che provano le persone LGBT o, in generale, chi ha subito una qualsiasi forma di aggressione, però comprendo il fatto che esse pretendano – e dovremmo pretenderlo tutti – di essere tutelati dallo Stato in cui vivono. In uno Stato che si fregia di essere civile e laico, i rappresentanti delle istituzioni, non solo devono astenersi da comportamenti come quelli a cui abbiamo assistito qualche giorno fa, ma devono garantire a tutti i diritti civili e devono farlo insieme… in questa battaglia si deve fare fronte comune, indipendentemente dal colore politico e dalla fede religiosa.
C’è una cosa che però proprio non capisco e che vorrei che qualcuno mi spiegasse: qual è il problema di insegnare nelle scuole ai/alle bambini/e ed ai/alle ragazzi/e il rispetto verso le altre persone, indipendentemente dal loro orientamento sessuale o dalla loro identità di genere?
Non è che questi politici, o in generale chi la pensa in questo modo, teme che questi bambini/e ragazzi/e diventino un giorno uomini e donne migliori di loro?