In occasione della Giornata mondiale del libro e del diritto d’autore, che ricorre il 23 aprile di ogni anno, lo staff di Le lenti del pregiudizio ha deciso di proporvi la recensione di uno dei tanti libri che trattano il tema dei pregiudizi.
La nostra scelta è ricaduta sul volume di Silvia Garambois e Paola Rizzi “#STAIZITTA GIORNALISTA! dall’hate speech allo zoombombing quando le parole imbavagliano” (edizioni All Around), in cui viene raccontata, dalla voce delle protagoniste, la violenta realtà vissuta dalle donne che fanno informazione.
Le giornaliste sono oggetto di feroci attacchi solo per il fatto di svolgere il proprio lavoro… un lavoro che viene considerato da alcuni una prerogativa maschile, soprattutto quando le donne «osano” trattare temi come la politica, la cronaca nera o lo sport.
Se ciò non bastasse, le professioniste dell’informazione vengono attaccate non sul piano professionale, quindi per ciò che scrivono – il che sarebbe anche legittimo -, ma sul piano personale… per il fatto di essere donne!
«cessa», «maestrina», «troia», «vai a fare la calza», «meriti di morire», «sei solo brava con la bocca», «un mostro di bruttezza e cattiveria», «strega», «a te non ti stupra nessuno», «la vedo bene come cassiera», «le donne utilizzano il sesso per fare carriera» sono alcuni degli insulti che riempiono i profili social e le caselle di posta delle donne che fanno giornalismo. Epiteti che con il loro lavoro non hanno nulla a che fare, ma che hanno come unico obbiettivo quello di ridurle al silenzio attaccandole ed umiliandole come persone.
I cosiddetti leoni da tastiera – coraggiosi dietro uno schermo, ma pavidi quando si prospetta l’ombra di una denuncia – arrivano persino ad utilizzare un piccolo difetto di pronuncia per denigrare e screditare. A raccontarlo nel libro è Marianna Aprile (nota giornalista che si occupa di politica e costume), riempita di insulti per la sua erre moscia e per il neo che ha sul viso.
Ad aggravare questa già sconcertante realtà è il fatto che gli autori di questi attacchi non sono solo singoli individui, ma sempre più frequentemente sono squadre di odiatori organizzati, il cui unico fine è quello di mettere un bavaglio al lavoro delle giornaliste.
Nel volume le due autrici non si sono limitate a raccogliere testimonianze, ma hanno anche spiegato termini e locuzioni che si sentono spesso delle quali però non sempre si conosce bene il significato (hate speech, slut- shamìng, revenge porne ecc.) ed hanno descritto i movimenti anti-hater. “#STAIZITTA GIORNALISTA! dall’hate speech allo zoombombing quando le parole imbavagliano” è una lettura interessante ed illuminante, che stimola a riflettere sui pregiudizi e le discriminazioni di cui sono ancora oggetto le donne nel nostro Paese.