Di Simone Gargiulo*
Negli ultimi anni si sente spesso parlare di Dipendenza da Internet soprattutto in riferimento all’abuso delle tecnologie e del web da parte dei bambini e degli adolescenti; ovvero, dei cosiddetti Nativi digitali. Come affermano Van Rooij e Prause (2014) dire che qualcuno è dipendente da Internet è come sostenere che qualcuno con un problema con l’alcol è dipendente da un negozio di liquori. Infatti, a tal proposito, la letteratura scientifica individua 5 categorie di cyber-dipendenze:
1. Cybersexual addiction: dipendenza che comprende tutti coloro che frequentano siti per adulti visionando immagini pornografiche e/o scaricando filmati porno, e i fruitori di chat erotiche.
2. Cyber-relational addiction: dipendenza che annovera tutti coloro che manifestano un eccessivo coinvolgimento nelle relazioni affettive e/o adultere, nate e mantenute in rete tramite chat, email, social network.
3. Net compulsions: comportamenti compulsivi messi in atto online, tra cui il gioco d’azzardo online (gambling online), lo shopping compulsivo online, compreso il commercio/aste online.
4. Information overload: ricerca compulsiva di informazioni online.
5. Computer addiction: dipendenza caratterizzata da un uso eccessivo di giochi online.
Ma facciamo un passo indietro. Ciò che desta preoccupazione è il tempo passato davanti agli schermi digitali. Il tempo diviene, secondo il senso comune, un elemento fondamentale di definizione della dipendenza. Ma, in una società, dove fin già dalla più tenera età, si vive in un mondo iperconnesso e si acquisisce che la tecnologia deve essere sempre presente e a portata di mano, il confine tra la normalità e la patologia non può essere definito dalla variabile tempo. La quotidianità ci dimostra come persone di qualsiasi età passino una quantità significativa di ore immerse nel web senza però sviluppare alcuna forma patologica e senza che questo influenzi negativamente il rapporto con loro stessi, con gli altri e con l’ambiente circostante.
Ecco le statistiche principali e le tendenze per lo “Stato del digitale” globale nel gennaio 2021:
- la popolazione mondiale era di 7,83 miliardi all’inizio del 2021;
- 5,22 miliardi di persone usano un telefono cellulare, pari al 66,6% della popolazione totale del mondo;
- 4,66 miliardi di persone in tutto il mondo utilizzano Internet nel gennaio 2021;
- ci sono 4,20 miliardi di utenti di social media in tutto il mondo. Questa cifra è cresciuta di 490 milioni negli ultimi 12 mesi.
Allora siamo tutti dipendenti? E ancora…
Una recente ricerca europea rivolta a minorenni tra i 9 e i 16 anni ci dice che:
– il tempo trascorso ogni giorno in Italia si attesta a 143 minuti;
– lo smartphone è il dispositivo utilizzato più di frequente per l’accesso alla Rete;
– in 11 paesi, tra cui l’Italia, oltre l’80% dei bambini e adolescenti utilizza uno smartphone per accedere a Internet almeno una volta al giorno.
Attualmente, anche se sono numerose le evidenze a sostegno del fatto che si possano sviluppare dipendenze da Internet, non vi è una classificazione condivisa che permetta di inquadrarle in specifiche categorie diagnostiche ma, di fatto, costituiscono un problema clinico e sociale che necessita di interventi e di programmi di prevenzione. L’esclusione della dipendenza da Internet dal DSM-5 (Manuale diagnostico e statistico dei disturbi mentali, quinta edizione) può far pensare che le dipendenze online non siano legittime, ma vi è una sempre più crescente letteratura scientifica che dimostra il contrario. Solo l’Internet Gaming Disorder è stata inclusa nella sezione 3 del DSM-5.
Tale disturbo è stato inserito a tutti gli effetti nella classificazione internazionale delle malattie e dei problemi correlati, [ICD]-11: una decisione sull’inclusione del disturbo da gioco nell’ICD-11 si basa sulla revisione delle prove disponibili e riflette il consenso di esperti di diverse discipline e regioni geografiche coinvolti nel processo di consultazioni tecniche intraprese dall’OMS [Organizzazione Mondiale della Sanità] nel processo di sviluppo dell’ICD-11. È qui definito come un modello di comportamento di gioco caratterizzato da un controllo compromesso sul gioco, priorità crescente data al giocare su altre attività nella misura in cui il gioco ha la precedenza su altri interessi e attività quotidiane, e la continuazione o l’escalation dei giochi, nonostante l’insorgenza di conseguenze negative. Affinché il disturbo da gioco sia diagnosticato, il modello di comportamento deve essere sufficientemente severo da risultare in una compromissione significativa in ambito personale, familiare, sociale, educativo, lavorativo o di altre aree importanti del funzionamento e normalmente deve essere stato evidente per almeno 12 mesi.
Non solo dipendenze, gli effetti sulla salute possono essere diversi e possono riferirsi a disagio psicologico (sintomi di ansia e depressione), all’immagine del corpo, a sentimenti di inadeguatezza. L’educazione all’utilizzo corretto e consapevole delle tecnologie e del web può fare la differenza poiché le opportunità sono notevoli nel momento in cui se ne fa un utilizzo integrativo più che sostitutivo.
*Psicologo. Laurea Specialistica in Psicologia conseguita presso l’Università degli Studi di Cagliari
Autore della ricerca scientifica “Le rappresentazioni sociali del bullismo veicolate dalla carta stampata” (S. Gargiulo, M. Agus, F. Marini; 2008), in collaborazione con la Cattedra di Psicologia della Formazione dell’Università degli Studi di Cagliari.
Responsabile scientifico e formatore in progetti di prevenzione e contrasto al bullismo, al cyberbullismo e ai pericoli del web rivolti agli alunni di ogni ordine e grado, genitori, insegnanti e operatori sociali.
Coordinamento scientifico, formazione, conduzione dei laboratori, monitoraggio e valutazione del progetto Cyber… Comunicando #parliamoneinrete (2018), I.C.S. n° 2 Sinnai – Scuola Polo per la Regione Sardegna, rivolto ai docenti Referenti del bullismo e del cyberbullismo.