di Alessandra Loru*
“Certe cose le puoi capire solo da genitore” quanto vi suona famigliare questa frase?
A tutti noi, almeno una volta nella vita, sarà capitato di sentirci esclusi dal “club dei genitori” proprio quando abbiamo cercato di dispensare consigli o suggerimenti a chi cercava di barcamenarsi tra i vari impegni, in bilico tra la vita privata/professionale e la famiglia.
Per questa idea di esclusività ho sempre pensato che ci fossero una serie di pregiudizi (non solo negativi!) nei confronti di questa categoria, che col tempo, da professionista del settore e ora anche da mamma, ho potuto confermare.
Quelli che seguono sono solo alcuni degli stereotipi più diffusi che ruotano attorno al ruolo del genitore, delle volte santificato, altre volte pressato sotto l’attento riflettore del giudizio sociale.
- Il genitore Super Eroe
“Ma come fai a gestire tutto così bene?!”
Il genitore Super Eroe è colui che, nella visione comune, riesce a gestire in maniera ottimale tutti gli impegni famigliari, professionali e individuali senza uscirne apparentemente scalfito. Riesce a portare i figli in palestra, a lezione di canto, a scuola, a lavorare 8 ore al giorno, a sistemare la casa, preparare la cena e anche una torta per la colazione, e, come se non bastasse, trova il tempo anche per la corsetta mattutina e il tutto senza aver alcun segno di stanchezza sul viso. È un genitore ammirato da tutti e spesso invidiato, ma siamo proprio sicuri che esiste davvero o che non sia solo frutto della fantasia come un vero Super Eroe?
- Genitore sacrificale
“O sei mamma o sei una lavoratrice”
Purtroppo, ancora troppo spesso, mi capita di parlare con donne che hanno ricevuto questo aut aut, talvolta durante un colloquio di lavoro (certamente formulato in maniera più subdola), altre volte all’interno della famiglia stessa. La donna è ancora oggi al centro di una visione patriarcale che ci portiamo dietro da secoli; da un recente sondaggio, infatti, emerge che, per 1 italiano su 5, viene tuttora considerata “l’angelo del focolare” e dal Nord al Sud (Isole incluse) sono pressoché concordi che il ruolo della donna dovrebbe essere relegato alle questioni domestiche.
Questo stereotipo di genere ha un forte impatto psicologico nelle donne, che spesso associano alla scelta di lavorare una mancanza verso i figli e la famiglia che cercano poi di compensare facendosi carico anche della mole di lavoro all’interno della casa. Insomma, qualunque sia la scelta della mamma, secondo il pensiero comune, la donna è destinata a una vita di sacrifici e rinunce.
- Il genitore altruista
“Da quando sei genitore dedichi tutto il tuo tempo ai figli”
Diventare genitore richiede una grande dose di pazienza, attenzione e tempo, su questo non c’è dubbio. Ma nel pensiero comune, dopo la nascita dei figli, il genitore dovrà sacrificare tutta la sua vita per una buona causa: la crescita dei bambini.
Niente più partite di calcetto con gli amici, niente più aperitivi con le amiche, niente più centri benessere e yoga, tutta la vita dovrà ruotare intorno ai figli.
Se questa scelta fosse voluta dal genitore stesso non ci vedrei nulla di male, ma nella maggior parte dei casi è più un’aspettativa sociale che una decisione desiderata. Quando si diventa genitore non si è più una donna o un uomo con i propri interessi e desideri bensì per la società si è mamma o papà, associando spesso l’identità dell’individuo a quella del ruolo genitoriale. Ma se l’individualità viene a mancare, come può esistere la famiglia che, per definizione è l’insieme dei singoli individui?
- Il genitore mancato
“Perché non hai ancora dei figli?”
Le donne che si avvicinano alla soglia dei 40 anni si trovano, molto spesso, a dover rispondere a questa domanda, intima e invadente, quasi accusatoria, ma fatta solitamente con leggerezza e noncuranza.
Tutto parte dalla cultura sociale ben radicata nella quale ci troviamo a vivere che considera come un’evoluzione “normale” la maternità della donna, senza la quale non si può definire “completa”. Questo tipo di pregiudizio parte dal presupposto che la donna debba avere dei figli; e se questa, per sua scelta, non ne volesse avere? Allora è una “mamma mancata” come se avesse perso un’opportunità, e non come se avesse fatto una scelta voluta e desiderata.
La pressione sociale nei confronti delle donne è ancora molto forte, ma iniziare a ponderare le parole che si utilizzano in alcuni contesti o evitare certe domande sarebbe già un buon punto di partenza.
- Il genitore autosufficiente
“Cosa vuoi che sia, ce l’hanno fatta tutti e ce la farai anche tu!”
Quante volte avrete sentito questa frase apparentemente motivazionale? Io tante, anche riferite a me nel primissimo periodo da neomamma. È vero, tante prima di noi ce l’hanno fatta a crescere dei figli da sole, ma siamo proprio sicuri che erano realmente sole? Senza andare troppo indietro nel tempo, già negli anni ’70 c’era un supporto sociale ben strutturato che ruotava intorno alla puerpera. Oltre i nonni e la famiglia d’origine, si poteva contare sul supporto di amici e vicini di casa che insieme creavano una rete volta ad aiutare la neomamma nella gestione del neonato.
Al giorno d’oggi, ancor di più in tempo di pandemia, ci si ritrova realmente soli a dover costruire un equilibrio d’insieme oltre che, per la mamma, a ricomporre a piccoli pezzi la propria stabilità che con la maternità e il parto è andata a disperdersi.
Dovremmo lasciare da parte lo stereotipo che l’essere mamma sia una cosa naturale e spontanea, e prendere consapevolezza sul fatto che la maternità e la paternità vadano costruiti, e che il chiedere aiuto può rivelarsi un valore aggiunto durante questo lungo percorso di crescita.
- Il genitore perfetto
“Come vorrei avere una famiglia perfetta come la loro!”
L’icona della mamma e del papà perfetti è un modello immaginario al quale gran parte dei genitori si ispirano durante il duro lavoro da educatori dei propri figli. Ma cosa significa essere un genitore “perfetto”? La perfezione ha un significato soggettivo ed è perciò difficile definirne le caratteristiche. C’è chi la ritrova nell’educazione del proprio figlio, chi nel non far mancare nulla di materiale quali giochi, abbigliamento, e tutto ciò che il bambino può desiderare, chi nel lasciarlo libero di esplorare e sperimentare o chi ancora nella formazione culturale e nozionista. Potenzialmente tutti questi esempi possono far parte delle caratteristiche del genitore perfetto… se solo esistesse il genitore perfetto!
L’essere genitore si basa sulla relazione madre/padre – figlio e come in tutte le relazioni non ci possono essere regole ferree che ci indicano, come in un quiz, l’azione giusta o sbagliata, bensì il nostro mandato educativo deve sempre adattarsi al bambino, alla famiglia e al contesto nel quale si trova. Il nostro ideale di genitore, allora, non andrebbe cercato all’esterno, ma in primis nelle nostre sensazioni, stati d’animo ed emozioni e successivamente negli occhi di nostro figlio.
*Psicologa dei Sistemi Sociali, è Specializzata in Psicologia dello Sviluppo, Perinatale e Scolastica. Si occupa da oltre 10 anni di progetti educativi, comunicativi, emozionali e di supporto genitoriale, familiare e infantile.
Ciao Ale! Hai perfettamente ragione in tutto, qualsiasi cosa si faccia è sempre sbagliato,se diventi genitore da “giovane”(dai 20 ai 25) il giudizio è:lo hai fatto perché non hai aspirazioni,si è poco intelligenti etc etc,se si procrea in età più matura(così si dice?!) Prima ti sei fatta i cavoli tuoi e poi condanni un figlio ad avere una nonna invece che una madre….ma se tutti noi imparassimo a farci gli affari nostri non sarebbe un mondo migliore?!