Qualche giorno fa si è conclusa la 72° edizione del Festival di Sanremo e quest’anno le donne che hanno affiancato Amadeus nella conduzione hanno avuto uno spazio tutto per loro, in cui potevano parlare di ciò che volevano e nel modo in cui volevano.
Trovo che questo sia un passo avanti importante: le donne di Sanremo non sono più le “vallette”, non sono più solo icone di bellezza, ma sono delle donne che hanno qualcosa da dire. Certo mi piacerebbe che più spesso fosse una donna ad avere le redini del programma e fossero gli uomini ad affiancarla…. Ma siamo sulla buona strada.
Per tornare a quanto accaduto quest’anno sul palco dell’Ariston, le co-conduttrici, ognuno a suo modo e con il proprio stile, hanno affrontato temi sociali che le riguardavano in maniera più o meno diretta.
Ha iniziato la seconda sera Lorena Cesarini (potete vedere il video cliccando qui), attrice 34enne, nata a Dakar da madre senegalese e padre italiano, cresciuta a Roma e divenuta famosa per aver interpretato il ruolo di Isabel nella serie Suburra (al fianco di Alessandro Borghi).
La Cesarini ha parlato di razzismo partendo, paradossalmente visto che è italiana, da un’esperienza personale. Nel momento in cui si diffonde la notizia che è stata scelta per affiancare Amadeus nella conduzione del Festival, sui social sono apparsi insulti e commenti denigratori rivolti all’attrice: “Non se lo merita, l’hanno chiamata lì perché è nera!”; “Ecco è arrivata l’extra comunitaria”; “L’avranno chiamata per lavare le scale”.
Il giorno seguente al monologo della Cesarini qualcuno ha contestato il fatto che l’attrice poco tempo prima, in un’intervista ad una rivista femminile, avesse dichiarato che non avrebbe fatto cenno al colore della sua pelle, che non c’è scritto da nessuna parte che lei debba portare l’attenzione sempre su questo elemento e che i commenti sui social non erano razzisti, ma solo spiacevoli; alla luce di questo, quanto avvenuto sul palco dell’Ariston è stato derubricato ad un momento di recitazione. Io non so se Lorena Cesarini durante l’intervista abbia volutamente minimizzato il significato razzista dei post sui social perché faceva troppo male ammettere la loro vera natura o, se come affermano alcuni, effettivamente lei non sia stata toccata da quei commenti e sul palco abbia solo interpretato una parte, quello che so e non accetto è che nel 2022 ci sia ancora chi, nascondendosi dietro ad una tastiera, fa affermazioni come quelle sopra riportate!
Possibile che nel 2022 siamo ancora qui a discutere del colore della pelle di una conduttrice del Festival di Sanremo?
Possibile che ancora non si sia capito che ormai la nostra è una società multiculturale, per cui non c’è nulla di strano se un cittadino italiano ha dei tratti somatici diversi da quelli tipici della nostra etnia?
E, soprattutto, possibile che ancor oggi si pensi che gli immigrati possano svolgere solo lavori come il lavare le scale… senza contare che quello dell’addetto alle pulizie, come qualsiasi altro, è un lavoro più che dignitoso, che non ha nulla a che fare con il valore della persona che lo svolge. A rendere tutto ancora più assurdo è il fatto che Lorena Cesarini è italiana e non un’immigrata.
Condivido in pieno il messaggio lanciato in conclusione al suo intervento: non smettiamo mai di essere curiosi, perché essere curiosi ci consente di scoprire e conoscere sempre cose nuove e questo apprendimento ci aiuta a liberarci dai pregiudizi.
Il giovedì sera è stata la volta di Drusilla Foer (cliccate qui per vedere il video), il personaggio di una nobildonna toscana creato da Gianluca Gori. La sua presenza è stata, a mio parere, importante perché ha sdoganato i temi LGBT anche nel contesto tradizionalista del Festival di Sanremo (cosa che ha fatto infervorare gli accaniti difensori della famiglia e della sessualità “tradizionale”).
Secondo me il concetto centrale del discorso della Foer è quello di “unicità”, che lei contrappone a “diversità”.
In un mondo in cui sembra essere importante, per non dire essenziale, attribuire delle etichette, intrappolare le persone in definizioni rigide, la Foer ha sottolineato quanto la qualità inclusiva per eccellenza sia l’unicità!
Siamo tutti unici ed irripetibili indipendentemente dall’orientamento sessuale, dalla condizione fisica, dai connotati somatici e così via.
Drusilla Foer però non si ferma qui, non si limita a sottolineare l’importanza di superare il concetto di diversità e di sostituirlo con quello di unicità, ma continua evidenziando come sia tutt’altro che semplice conoscere ed accettare la propria unicità, prima ancora di quella dell’Altro.
E’ proprio così! Per accettare l’unicità dell’altro ciascuno di noi deve accettare la propria… un’unicità che è fatta di cose belle e di cui andare fieri e di cose brutte che bisogna provare a cambiare.
Per concludere, mi sento di fare mio l’appello all’ascolto che fa durante il discorso: mettiamoci in ascolto di noi e degli altri, accogliamo il dubbio anche solo per essere sicuri che le nostre convinzioni non siano in realtà delle convenzioni, detto in altre parole… liberiamoci dalle “lenti” del pregiudizio!*
Siamo arrivati così alla quarta serata, quella in cui la co-conduzione è stata affidata a Maria Chiara Giannetta, l’attrice protagonista della serie Blanca. Per i pochi che non ne hanno sentito parlare, Blanca è una serie andata in onda su Rai1 alla fine del 2021 in cui la protagonista, Blanca per l’appunto, è una donna di 30 anni, divenuta cieca quando di anni ne aveva 13, che ha realizzato il suo sogno di diventare una poliziotta.
Apro una parentesi per fare una piccola riflessione sulla serie o, meglio, su come viene rappresentata la cecità nella serie: sicuramente sono stati fatti dei piccoli errori nell’interpretazione – ad esempio, la prima volta che entra in commissariato Blanca si muove in maniera un po’ troppo sicura… va bene essere autonomi, ma se non si conosce un posto si ha bisogno di un pochino di tempo per prendere familiarità con l’ambiente – e nella narrazione – un cane guida un non vedente non lo addestra autonomamente, i cani guida devono essere addestrati da istruttori appositamente formati (nella fiction questa fase di addestramento non è neanche accennata, mentre è un aspetto fondamentale nella realtà e quello a causa del quale per avere un cane guida si devono attendere anni) – ma nel complesso secondo me la rappresentazione è realistica e fornisce un’idea dei pregiudizi con cui deve combattere una persona cieca sul posto di lavoro e delle piccole grandi difficoltà con cui si scontra nella quotidianità (soprattutto se, come Blanca, vive da sola).
Ho fatto questa digressione perché è collegata a ciò che ho pensato ascoltando il monologo della Giannetta a Sanremo (che potete vedere qui). Ho apprezzato che sul palco l’attrice abbia portato persone comuni – o quasi comuni, visto che un paio erano atlete paralimpiche, cosa che non è esattamente la norma – e non abbia accennato al fatto di aver avuto tra i suoi consulenti ciechi anche Andrea Bocelli.
Mi è anche piaciuto che, parlando di cosa i suoi cosiddetti “guardiani” le hanno insegnato, abbia raccontato cose molto concrete e che non si sia limitata a dire quanto siano persone speciali.
Qualcuno ritiene che nel suo intervento ci sia stata troppa retorica: sì, un po’ di retorica c’è stata, ma non dobbiamo dimenticarci che parlava da uno dei palcoscenici italiani più importanti, durante una serata della Kermesse canora per antonomasia… non ci si poteva aspettare niente di diverso… anzi, ci si poteva aspettare molto di peggio!
Sicuramente ha enfatizzato un po’ troppo l’ammirazione che nutre per le persone che l’hanno aiutata a prepararsi all’interpretazione di Blanca – e presumibilmente per le persone con disabilità in generale -, ma non possiamo pensare di non suscitare l’ammirazione dei cosiddetti normodotati: per loro, comprensibilmente, ciò che facciamo è straordinario e sta a noi far comprendere loro che non è così, che è solo una normalità differente, non è tutto rose e fiori, che non ci viene sempre tutto così facile, che lottare contro i pregiudizi è frustrante e sfiancante… chi non le vive sulla propria pelle certe cose non le può capire… per quanto sensibile possa essere. Quello che dobbiamo pretendere, soprattutto in determinati contesti come quello della televisione e dei mass media in generale, è che si superi l’ammirazione per arrivare alla conoscenza ed alla comprensione… essere considerati dei supereroi, può essere lusinghiero all’inizio, ma alla lunga è svilente perché ci si sente non visti o, meglio, visti come disabili e non come persone.
Mi sento di fare un’ultima osservazione, giusto per essere sicura che il messaggio non venga frainteso: la Giannetta termina il discorso dicendo che l’esperienza che ha fatto è una “figata”… ecco, precisiamo, la sua esperienza di attrice che ha interpretato una persona cieca è una figata, non l’essere ciechi! Nell’essere ciechi o, in generale, persone con disabilità non c’è proprio nulla di figo… vi assicuro che tutti noi ne faremmo volentieri a meno… e questo vale per tutte le persone con disabilità, anche quelle felicemente sposate, che hanno dei figli di cui andare orgogliosi, che sono realizzate nel lavoro e nella vita in genere.
Io spero che a Maria Chiara Giannetta interpretare Blanca sia servito, non tanto a capire cosa significa essere ciechi (quello non lo capisci se non lo sei), ma a liberarsi dai pregiudizi, dai tanti pregiudizi, che insistono sulla disabilità visiva.
Siamo così arrivati alla serata finale, quella in cui Amadeus è stato affiancato sul palco da Sabrina Ferilli.
La Ferilli ha optato per la leggerezza – specificando che “leggerezza” non significa “superficialità” – ma ciò non le ha impedito di dire alcune cose importanti e condivisibili (per vedere il video cliccare qui).
Dopo aver elencato una serie di temi di cui avrebbe potuto parlare e che ha scartato per motivi diversi, ha affermato con chiarezza che per parlare di temi complessi e delicati bisogna essere credibili… e lei, onestamente, non si sentiva credibile a parlare, ad esempio, di quanto sia difficile per una donna conciliare il lavoro con la cura dei figli, visto che lei è una donna benestante senza prole.
Riporto qui il passaggio secondo me principale del suo intervento: “Mi hanno detto di parlare di femminismo, di body positivity, di mansplaining, di schwa. Per parlare di questi argomenti, bisogna che lo faccia chi con questi argomenti ci si sporca le mani veramente, chi li studia, chi li conosce. E magari anche da palcoscenici meno scintillanti di questo. Io sono molto rispettosa delle competenze altrui e quindi trovo che ognuno debba parlare di quello che sa. E anche perché altrimenti io nel sottopancia di Sanremo mi sarei fatta scrivere “attrice, virologa, allenatrice di calcio, esperta di calamità naturali”, che sono grossomodo tutti i temi dell’italiano medio sui social”.
Quanta verità in queste parole!
Quante volte, sui social in particolare, ma purtroppo non solo lì, tutti si sentono in diritto di dire la propria opinione senza avere uno straccio di competenza o esperienza in merito!
Quante volte da quando è iniziata la pandemia nei talk show sono state messe sullo stesso piano le parole e le argomentazioni di virologi esperti con quelle di persone, che magari nel loro campo sono anche figure di spicco, ma che di virologia non ne sanno nulla? Tante, troppe!
Il risultato? Creare confusione nei telespettatori/ascoltatori, generare e diffondere pregiudizi errati, dare credito a tesi da film di fantascienza… il tutto giocando sulla salute della gente!
Un conto è fare l’allenatore della nazionale di calcio stando seduti sul divano di casa – cosa divertente che non fa male a nessuno -, un altro è, da quello stesso divano e senza avere alcuna competenza, esprimere la propria opinione spacciandola per verità assoluta.
Senza una buona e corretta informazione non è pensabile riuscire a liberare la società dai pregiudizi e dagli stereotipi!
Il Festival di Sanremo è innanzitutto una kermesse canora e quindi le canzoni devono essere al centro – secondo me anche di più di quanto non avvenga, ma questa è un’altra storia -, ma ritengo che utilizzare questo programma nazionalpopolare per affrontare temi civili e sociali e diffondere messaggi importanti, non sia solo una possibilità, ma un dovere della televisione pubblica, che – per quanto possa sembrare anacronistico pensarlo – non ha solo la responsabilità di intrattenere i telespettatori, ma anche quella di informarli ed educarli.
*Per quanto non del tutto attinente al contenuto di questo articolo, vi invito ad ascoltare qui il ricordo che Roberto Saviano ha fatto di Giovanni Falcone e Paolo Borsellino alla vigilia del trentesimo anniversario delle stragi di Capaci e via D’Amelio, in cui hanno perso la vita, oltre ai due giudici, Francesca Morvillo e gli agenti di scorta.