Bullismo e cyberbullismo. Puntare sull’”educazione fra pari”
di Katia Caravello
Dopo aver già trattato il tema del bullismo e del cyberbullismo (leggi qui l’articolo), oggi approfondiamo la conoscenza di questo fenomeno complesso parlandone con Simone Gargiulo, psicologo esperto nel contrasto del bullismo e del cyberbullismo.
D. Do il benvenuto a Simone Gargiulo che ringrazio per aver accettato il nostro invito.
R. Buongiorno grazie a voi, è un grandissimo piacere per me.
D. Con te volevo parlare di un tema particolarmente delicato è particolarmente attuale che è quello del bullismo e del cyberbullismo e direi che la cosa migliore sia quella di iniziare dalle definizioni di questi due fenomeni sociali.
R. Sì assolutamente. Allora il bullismo è un insieme di comportamenti aggressivi che vengono messi in atto da uno o più coetanei rivolti verso altri coetanei. Quindi già da qui possiamo definire il fenomeno togliendo quella che è l’idea che il bullismo si possa verificare anche tra studenti e insegnanti o tra minori e adulti. No, è un fenomeno che coinvolge esclusivamente i coetanei, ragazzi, preadolescenti, adolescenti ma anche bambini.
Al fenomeno del bullismo “faccia a faccia”, negli ultimi 15 anni si è affiancato il cyberbullismo ovvero le prevaricazioni messe in atto con l’utilizzo delle tecnologie, quindi internet e i servizi web, come ad esempio applicazioni di messaggistica istantanea piuttosto che social network.
Bullismo e cyberbullismo sono dei fenomeni sicuramente presenti nel contesto italiano, ma anche a livello mondiale, che necessitano sempre di un’attenzione particolare.
Questi fenomeni, in particolare il bullismo, si caratterizzano e si distinguono da altri fenomeni di aggressività e di violenza per alcune caratteristiche: l’intenzionalità dell’azione aggressiva dove il bullo, il prevaricatore, mette in atto questi comportamenti proprio con l’intenzione di arrecare del male alla vittima; la frequenza, sono comportamenti che si verificano con una certa, appunto, frequenza, ovvero non basta un unico comportamento aggressivo, come può essere un pestaggio piuttosto che una presa in giro, no, dev’essere qualcosa di continuativo, si crea proprio una relazione disfunzionale tra il bullo e la vittima; la terza è lo squilibrio del potere ovvero il bullo è più forte della vittima, che non riesce a difendersi da questi attacchi. Non è che non voglia, ma non riesce a difendersi.
Spesso i genitori incoraggiano il proprio figlio a reagire dandogli dei consigli su come fare, ma il problema è che il ragazzo non riesce, pur volendo, a difendersi. Pur agendo in buona fede, così facendo si rischia di peggiorare la situazione invece di migliorarla, è come girare il dito nella piaga.
Si è notato negli studi più attuali il fatto che il bullismo riguarda il gruppo, è un fenomeno sociale, dove ognuno – pensiamo all’ambiente scolastico che è quello maggiormente studiato (anche perché il fatto che i ragazzi si trovino tutti nello stesso luogo rende più agevole la ricerca), ma il bullismo si può verificare anche in altri contesti, come ad esempio lo sport ed in altre situazioni formali ed informali – quando si verificano le aggressioni sono presenti altre figure, i compagni di classe o altri coetanei, che possono provocare un aumento del bullismo o, al contrario intervenire. Purtroppo solitamente i presenti stanno a guardare. Con lo smartphone, atti di bullismo “faccia a faccia” vengono ripresi e poi spostati nel web (e qui si ha un collegamento tra bullismo e cyberbullismo).
Naturalmente questi due fenomeni hanno delle caratteristiche in Comune, ma ci sono anche delle differenze. Ad esempio, nel cyberbullismo c’è l’anonimato, o meglio, si pensa e fa di tutto per rimanere nell’anonimato, ma in realtà non è così: nel momento in cui si denunciano questi atti alle autorità competenti, queste in linea generale riescono a individuare l’indirizzo IP Ovvero lo strumento il mezzo quale smartphone utilizzato per mettere in atto dei comportamenti aggressivi e da lì risalire all’autore.
Oltre all’anonimato, un’altra caratteristica che distingue bullismo e cyberbullismo è la diffusione che gli atti di prevaricazione possono avere. Attraverso il web potenzialmente chiunque può venire a conoscenza di questi atti ed assistere ad essi. Il fatto di considerare internet come uno spazio potenzialmente infinito fa sì che la vittima, che vede il video di quanto ha subito e subisce in continuazione, pensi che chiunque lo abbia visto, anche se non è così. Ogni sguardo innesca il pensiero “anche lui/lei ha visto quel video e quello che mi hanno fatto, ha visto che non mi sono saputo/a difendere”… e ciò è fonte di un’enorme umiliazione.
D. Mi viene quindi questa riflessione: il bullismo e il cyberbullismo quindi sono due fenomeni distinti o sono due facce della stessa medaglia?
R. Il primo a studiare il bullismo è stato Dan Olweus, secondo il quale, pur essendoci come abbiamo visto delle differenze, ritiene che il cyberbullismo possa entrare a pieno titolo nella grande categoria del bullismo.
Altri ricercatori ritendono al contrario che sono fenomeni che andrebbero studiati e trattati distintamente.
Personalmente preferisco trattarli insieme: a livello di prevenzione, quando si interviene sul bullismo, è necessario intervenire contemporaneamente sul cyberbullismo.
D. Hai già fatto riferimento ad un pregiudizio in tema di bullismo (la vittima non si difende perché non ce la fa, non perché non vuole), ce ne sono altri?
R. Quando si parla di bullismo e cyberbullismo di pregiudizi ce ne sono tanti e sappiamo bene come essi non consentano di conoscere veramente questo fenomeno e, di conseguenza, di intervenire in maniera efficace.
Uno di questi pregiudizi è quello secondo cui il bullismo fa parte della crescita. Il bullismo non è un fenomeno fisiologico intrinseco al percorso di crescita, non è un compito evolutivo, né tantomeno è utile per rafforzare il carattere delle persone (esistono altri percorsi per arrivare a questo scopo)
Il bullismo crea disagio, sofferenza e vergogna, quest’ultima accresciuta in modo esponenziale dal web.
Altri che mi vengono in mente è che si tratta di fenomeni che si manifestano nelle zone più degradate o nelle grandi città: le ricerche scientifiche ci dicono che ciò non è vero. Il bullismo è un fenomeno trasversale, presente nelle classi numerose così come in quelle di piccole dimensioni, nelle zone più povere e degradate così come in quelle ricche, quante volte sentiamo al telegiornale la cronaca di atti di bullismo compiuti dai figli delle cosiddette famiglie “per bene”.
Un altro pregiudizio è che il bullismo in rete è meno grave di quello “faccia a faccia”. Non solo questo non è vero ma, come abbiamo accennato prima, il cyberbullismo può anche essere più grave perché l’aggressione può essere vista potenzialmente da tutti. La vittima si sente osservata anche se, in realtà, non è detto che tutti abbiano visto il video incriminato, ma il solo dubbio per la vittima è sufficiente per innescare pensieri persecutori (quella persona ha visto quel video dove mi prendevano in giro, dove mi picchiavano, dove gli altri incitavano, dove nessuno interveniva, dove io facevo una brutta figura)
Il rischio di non superare questi pregiudizi è quello di non riuscire ad intervenire in maniera veramente efficace per risolvere o, quantomeno, ridurre gli effetti negativi che hanno bullismo e cyberbullismo.
D. Abbiamo già accennato diverse volte al fatto che gli atti di bullismo e di cyberbullismo hanno delle pesanti ricadute a livello psicologico, ma quali sono?
R. Sì, ci sono delle gravi ricadute a livello psicologico ed è per questo che è importante, non solo intervenire, ma anche prevenire.
Ci sono delle manifestazioni che possono costituire dei campanelli d’allarme per genitori ed insegnanti, dei segni che possono far venire il sospetto che qualcosa non vada: disturbi del sonno, attacchi di panico, sintomi fisici (mal di pancia, mal di stomaco, mal di testa), tutti sintomi che si manifestano soprattutto prima di andare a scuola.
Mi sento di consigliare ai genitori di prestare attenzione a questo tipo di manifestazioni, perché possono costituire degli indicatori di bullismo a scuola.
Ci sono delle conseguenze anche a lungo termine: sviluppo di psicopatologie, come la depressione, comportamenti autodistruttivi ed autolesionisti. Le conseguenze a lungo termine inoltre possono intaccare la capacità di fidarsi degli altri, intrattenere relazioni sane.
D. Ci sono delle conseguenze anche per i bulli?
R. Sì, anche in questo caso sia a breve che a medio e lungo termine.
Il bullo può avere un basso rendimento scolastico, un disturbo della condotta – e quindi anche un’incapacità di rispettare le regole. Anche il bullo può avere dei problemi di natura relazionale, che si possono manifestare anche con un comportamento aggressivo nei confronti degli adulti; in questi casi, come abbiamo visto, non si parla di bullismo, ma di comportamenti antisociali, che possono evolvere in condotte criminali. C’è stato uno studio del 1996 (è in quegli anni che si è iniziato a studiare il fenomeno) da cui risulta che il 60% dei ragazzi etichettati come bulli tra la 2° e la metà della 3° media, all’età di 24 anni erano stati almeno una volta in carcere. C’è anche una correlazione tra l’essere stati autori di atti di bullismo e l’abuso di sostanze stupefacenti.
Insomma, bullismo e cyberbullismo sono fenomeni che hanno delle conseguenze pericolose per tutti coloro che ne sono coinvolti, siano essi gli aggressori, sia che siano le vittime.
D. Che cosa si può fare per prevenire e contrastare il bullismo?
R. Innanzitutto è essenziale conoscere il fenomeno, altrimenti non è possibile intervenire in maniera efficace.
E’ poi necessaria un’alleanza educativa tra scuola, famiglia e comunità; un’alleanza che non dev’essere solo sulla carta, ma dev’essere concreta.
Quello che si deve cercare è un incontro con la scuola, senza partire al suo attacco, come invece spesso si fa.
Sia la scuola che i genitori hanno delle responsabilità educative: è bene insegnare, ad esempio, ai ragazzi che, se dovessero essere testimoni di aggressioni o molestie a danno di un compagno, ad agire, non necessariamente intervenendo personalmente (anche se qualcuno lo fa), ma anche solo avvisando un adulto.
La scuola di può dotare – e già la legge lo prevede – di un team antibullismo e di un referente per il bullismo e il cyberbullismo. Questa figura non dev’essere solo sulla carta, ma deve operare concretamente e fare in modo che si costruisca un clima positivo.
D. Tu lavori nella scuola. Prima accennavamo al fatto che al ruolo che deve avere la scuola, in alleanza con gli altri attori, come per l’appunto i genitori e le famiglie. Però i ragazzi passano molto del loro tempo a scuola e quindi la scuola necessariamente ha un ruolo determinante. Tu cosa fai all’interno della scuola.
R. All’interno della scuola mi occupo di tenere corsi di formazione a insegnanti, educatori e personale scolastico in generale, finalizzati a far conoscere il fenomeno, le sue caratteristiche e le possibilità di intervento. Inoltre mi occupo specificamente della formazione del team antibullismo, allo scopo di dare gli strumenti utili per rilevare la presenza del bullismo, sia per intervenire nella maniera più efficace possibile.
In quest’ambito, inoltre, mi occupo della formazione dei genitori e dei peer educator. In pratica formo dei ragazzi, selezionati in base ad alcune caratteristiche (è una selezione molto specifica; i ragazzi si possono anche autocandidare): l’obiettivo di questa formazione è quella di educarli ad essere diffusori di benessere. Una volta formati, i ragazzi andranno nelle classi per dare vita ad un confronto aperto, ma interverranno anche nelle situazioni informali.
La reazione e l’impegno dei ragazzi mi fa capire quanto sia importante rendere i ragazzi protagonisti, perché il bullismo è una questione di valori – o meglio di disvalori – che si vengono a creare nel gruppo classe.
Come ha effetto l’influenza negativa di alcuni, può e ha effetto l’influenza positiva che questi ragazzi possono avere sui propri compagni, senza fare i maestrini o gli psicologi che non sono.
Questa è la parte del mio lavoro sulla quale mi piace concentrarmi di più.
D. Anche a me sembra particolarmente interessante. Come reagiscono i ragazzi? E c’è un equilibrio di genere nel coinvolgimento in questa peer education?
R. Hai toccato un punto importantissimo. Anche la ricerca ci dice che ci deve essere un equilibrio nel gruppo dei peer educator tra femmine e maschi, questo anche per una questione di confronto con i propri compagni quando entrano nelle classi.
L’equilibrio solitamente c’è, anche se c’è sempre qualche ragazza in più.
Devo dire con molto piacere che lo prendono con molto entusiasmo e fanno gasare – scusa il termine poco psicologico – anche il formatore.
Ad ogni incontro condividono quanto hanno fatto, dando vita ad un confronto. Con orgoglio dicono “sono intervenuto.”, “sono stato attento ad osservare le relazioni tra gli altri” ecc.
Il bullismo è uno script, un copione, una sequenza stereotipata di comportamenti, quindi è importante che i ragazzi siano educati, allenati, a percepire ciò che provano le vittime, i bulli, gli astanti per riuscire ad intervenire efficacemente.
D. Mi sembra che questa sia un’attività che riempie di soddisfazione tutti, ragazzi e formatore, e mi sembra di cogliere come insegnamento quello di dare fiducia ai ragazzi.
R. Assolutamente sì. I ragazzi hanno bisogno di sentirsi parte della scuola. In questo modo ci sarà più rispetto per tutti, per la scuola come istituzione, ma anche come luogo di crescita.
D. C’è una domanda che non ti ho fatto prima. A compiere atti di bullismo sono più i maschi o le femmine?
R. La percentuale di bulli tra i maschi e le femmine è sostanzialmente la stessa, quelle che sono diverse sono le modalità
I maschi mettono in atto azioni che hanno a che fare con la fisicità quindi arrivano a picchiare e non solo a prendere in giro; mentre le femmine tendono a mettere in atto un bullismo diretto di tipo verbale (prendere in giro) e indiretto di tipo relazionale (isolare il compagno o la compagna).
Negli ultimi tempi, però, anche le ragazze stanno iniziando a mettere in atto un bullismo di tipo fisico, quindi iniziando a picchiare o a tirare i capelli.
Nel cyberbullismo, invece, essendoci la mediazione dello schermo, non c’è differenza tra ragazzi e ragazze.