La tossicodipendenza è un fenomeno sociale complesso, che spesso viene ridotto al mero utilizzo di sostanze… ma c’è molto di più!
L’abuso di sostanze stupefacenti – e la dipendenza fisica o psichica da esse – è solo una parte del problema e, anche se può sembrare paradossale, neanche quella più difficile da affrontare e superare. L’astensione da sostanze di abuso può infatti essere raggiunta mediante:
- farmaci Agonisti, cioè sostanze con lo stesso meccanismo di azione della droga che le facciano concorrenza senza provocare gli stessi danni (è il caso del metadone e della buprenorfina utilizzati per il trattamento della dipendenza da oppiacei)
- farmaci Antagonisti, ossia farmaci che bloccano l’effetto della sostanza stupefacente (è il caso del naltrexone per la dipendenza da eroina);
- Terapie avversive con farmaci che interagiscono con la sostanza psicoattiva provocando effetti spiacevoli quando viene assunta (è il caso del disulfiram prescritto agli alcolisti).
I farmaci sono d’aiuto anche per contrastare il craving, ossia il desiderio impulsivo per una sostanza psicoattiva (così come per il cibo o altro oggetto-comportamento gratificante). Il craving determina l’assunzione compulsiva e discontrollata della sostanza nonostante gli effetti sgradevoli da essa generati (addiction).
Ma, come ho già detto, la tossicodipendenza è una condizione complessa, che per essere superata necessita di un intervento multidisciplinare (sanitario, sociale e psicologico), in cui il primo passaggio è sicuramente costituito dal trattamento della sindrome da astinenza e dal controllo del craving.
Per comprendere realmente questo fenomeno sociale è innanzitutto necessario liberare il campo dai numerosi pregiudizi e stereotipi che ancora circolano sulla tossicodipendenza, i tossicodipendenti e l’utilizzo di sostanze… vediamone alcuni.
Smettere di drogarsi… basta volerlo!
Uno dei pregiudizi più radicati è che se una persona non riesce a smettere di assumere sostanze è perché non vuole farlo, come se volerlo fosse sufficiente… purtroppo la realtà è molto più complessa e complicata.
Se è vero, come abbiamo visto, che liberarsi dalla dipendenza fisica e tenere sotto controllo il desiderio di assumere droghe sono risultati relativamente facili da raggiungere grazie ai farmaci, è altrettanto vero che per uscire dal tunnel della droga la strada è molto più lunga ed irta di ostacoli.
Nella stragrande maggioranza dei casi, coloro che abusano di sostanze – o che sono schiavi di una qualsiasi forma di dipendenza – hanno alle spalle storie di vita difficili (traumi mai superati, carenze affettive, famiglie problematiche, ecc.). Se non si affronta il problema alla radice, se non si creano le condizioni perché la persona sia inserita in un contesto ambientale sano, se non gli vengono forniti gli strumenti per affrontare le difficoltà della vita, è assai difficile, per non dire impossibile, che il percorso di recupero abbia successo nel lungo termine.
La volontà di liberarsi dalla droga è indispensabile, ma purtroppo non sempre sufficiente. Resistere alla tentazione di assumere una sostanza (ma lo stesso vale per l’astensione da un comportamento compulsivo) che provoca, anche se per un breve lasso di tempo, uno stato di benessere psicofisico e/o fa dimenticare i propri problemi è tutt’altro che facile e, se oltre alla dipendenza bisogna anche combattere con i pregiudizi e lo stigma sociale, la risalita è ancora più difficile.
Il tossicodipendente deve essere emarginato?
Assolutamente no! Il pregiudizio che intorno alla persona tossicodipendente debba essere fatta terra bruciata è errato e controproducente.
Non vi sono motivi sanitari o legali che giustifichino l’esclusione della persona tossicodipendente dai normali ambiti della vita sociale. L’emarginazione ritarda ed ostacola il processo di recupero.
La rete sociale ha un valore terapeutico al pari degli interventi di natura più specialistica. I rapporti interpersonali sono una risorsa fondamentale, non solo per smettere di fare uso di sostanze, ma soprattutto per evitare ricadute rovinose. Affinché la persona tossicodipendente possa a tutti gli effetti recuperare la sua identità di persona partecipe alla vita della cittadinanza è necessaria l’accettazione e la solidarietà della comunità locale.
È quindi auspicabile che la persona tossicodipendente abbia nell’arco di tutta la sua vita dei punti di riferimento stabili (familiari, amici e/o operatori dei servizi per le tossicodipendenze o della comunità di recupero) sui quali sa di poter sempre contare per ricevere aiuto e che sappiano cogliere i segnali di una ricaduta, intervenendo prima che la situazione si aggravi.
Se l’emarginazione sociale è sempre dannosa, l’allontanamento dal proprio contesto di vita può essere necessario: questo accade quando la persona è inserita in un contesto sociale problematico e/o delinquenziale (ad es. criminalità organizzata).
Il tossicodipendente è irrecuperabile?
Nessuno è irrecuperabile! Dal problema della tossicodipendenza è possibile uscire con pazienza e tenacia.
Questo stigma costituisce un grande ostacolo: sentire che gli altri non credono nel tuo recupero è per la persona in trattamento un elemento altamente demotivante, che rende ancora più pesanti le difficoltà.
Per quanto possa apparire una sentenza di condanna, il punto di partenza per uscire dal problema è raggiungere la consapevolezza che non se ne uscirà mai… se sentite dire ad una persona che ha avuto una storia di abuso di sostanze “Sono guarito”, preoccupatevi!
La tossicodipendenza è infatti stata definita una malattia cronica recidivante. Ciò significa che ha una lunga durata e che alterna periodi di apparente guarigione ad altri di ricaduta… ed è importante che ne siano tutti consapevoli (non solo il tossicodipendente, ma anche chi gli sta intorno).
Molte ricerche statistiche hanno dimostrato che il recupero totale di una persona tossicodipendente richiede alcuni anni di sforzi dal momento del suo primo contatto con una struttura terapeutica. Rivolgersi al Ser.D. e chiedere il più idoneo trattamento farmacologico e psico-sociale, nonché poter contare sulla famiglia di appartenenza, sono concrete possibilità di abbreviare e rendere meno faticoso il processo di crescita e maturazione.
Il tossicodipendente è un delinquente?
Questo pregiudizio nasce dal fatto che giornali e tv parlano quasi esclusivamente di coloro che compiono reati (solitamente scippi, furti e spaccio), ma essi costituiscono solo una parte e tali comportamenti sono determinati dalla necessità di procurarsi denaro sufficiente ad affrontare gli elevati costi dell’acquisto di droghe. Di conseguenza la sospensione dell’uso di sostanze stupefacenti conduce normalmente alla cessazione dei comportamenti illegali.
Il tossicodipendente è un violento?
Questo è un altro pregiudizio che deriva dal fatto che agli onori della cronaca arrivano solo le storie di coloro che hanno compiuto atti violenti (o, come abbiamo appena visto, reati).
Gli episodi di violenza da parte delle persone tossicodipendenti non costituiscono la regola, bensì una rara eccezione. Infatti, dopo aver assunto una dose di eroina, subentra uno stato di torpore e rallentamento che inibisce l’aggressività. Nei periodi di astinenza i sintomi sono tali da produrre uno stato caratterizzato da scarsa energia fisica e malessere generale, che quasi mai consente comportamenti aggressivi. Solo l’uso di alcuni stimolanti (cocaina e anfetamine) può in casi sporadici sfociare in atti aggressivi, e solo in persone caratterialmente predisposte.
Il tossicodipendente è un malato infettivo?
Questo pregiudizio origina dall’osservazione che molti di coloro che fanno uso di eroina per via endovenosa sono stati contagiati dal virus dell’epatite e dall’HIV.
Al fine di superare questo pregiudizio, è utile ricordare che:
- non è la sostanza come tale che può provocare l’infezione;
- l’infezione avviene mediante il passaggio del virus dai liquidi biologici (sangue, sperma) dei soggetti infetti nel sangue dei soggetti sani tramite uso di siringhe ed altro materiale non sterile o per contagio sessuale;
- I tossicodipendenti che non usano sostanze per via endovenosa e che non hanno una vita sessuale promiscua non rischiano di contrarre o trasmettere infezioni più degli altri.
Esiste un uso normale delle sostanze psicoattive?
L’uso “normale” delle sostanze psicoattive è una pura illusione. Sono invece conosciute moltissime condizioni in cui l’uso di tali sostanze, anche in modeste quantità, produce danni organici, psicologici e sociali assai gravi per sé e per gli altri.
“Ho tutto sotto controllo, decido io quando usarla” è quello che dicono i consumatori di droghe per far credere che sia lui a dominare la sostanza e non viceversa. Ma questo non accade mai: prima o poi sarà la sostanza a prendere il sopravvento e la persona non riuscirà più a fare a meno di essa. Quanto tempo passa prima che arrivi questo momento dipende dal tipo di sostanza e dalla quantità consumata… ma prima o poi arriva, è inevitabile!
Da non sottovalutare!
A questo punto, parlando di abuso di sostanze psicoattive e di dipendenze patologiche, credo sia importante ricordare che esse possono avere cause indipendenti dalla volontà della persona.
Infatti l’utilizzo di droghe ed altre forme di dipendenze patologiche possono essere il sintomo di una psicopatologia (ad es. il disturbo borderline di personalità) o l’effetto collaterale di alcuni farmaci (ad esempio il gioco d’azzardo patologico può essere la conseguenza dell’assunzione di alcuni farmaci utilizzati per trattare il morbo di Parkinson).